con
(in ordine di apparizione)
Peppe Celentano (Hercule Poirot)
Raffaele Esposito (Dr. A. Christie)
Giuliana Sepe (Mary Debenham)
Luciano Nozzolillo (Arbuthnot)
Bruno Minotti (Pierre Michel)
Gabriella Cerino (Martha Hubbard)
Andrea De Rosa (Hector MacQueen)
Rossella Serrato (Natalia Dragomiroff)
Diana Del Monaco (Elena Andrenyi)
Sasà Trapanese (Cyrus Hardman)
Alessandra Lagozino (Hildegard Schmidt)
Mai prima d'ora Assassinio sull'Orient Express era stato trasformato in un testo teatrale. Serviva, probabilmente, il luogo adatto. E lo si è trovato. La Galleria del Giallo e del Mistero diventa una fedele riproduzione del mitico treno: entrerete nella carrozza ristorante, attraverserete un pezzo di storia e vivrete per qualche ora nella magia del vagone Istanbul-Calais, in compagnia di Poirot e dell'assassino, che potrebbe sedere proprio accanto a voi... E se Poirot perdesse la sua infallibilità? Se tutto d'un tratto non riuscisse più a distinguere il sogno dalla realtà? Cosa accadrebbe se Poirot si sottoponesse ad analisi? Da questa "folle" idea prende il via Orient Express, la riduzione teatrale del classico di Agatha Christie. A guidare Poirot nella ricerca di se stesso e della verità uno strambo psicanalista che non poteva che chiamarsi "Dottor A. Christie". |
RECENSIONI
Da Il Quotidiano di Benevento, 9 maggio 2001
Si può definire coinvolgente ed appassionante uno spettacolo
di cui si conosce perfettamente la trama e, soprattutto, il colpo di scena
finale?
Esistono, è vero, "gialli" che tengono il fiato sospeso ogni volta
che si ammirano, ma bisogna essere maestri del calibro di Alfred Hitchcock se si
opera nel cinema oppure, se si lavora in campo teatrale, stravolgere il copione
ed affidarsi a regie che facciano sensazione. È davvero l'unico mezzo per
attrarre nuovi spettatori e, in particolar modo, affascinare anche chi abbia
già visto lo spettacolo o ne conosca bene la trama?
No: con Orient Express un simile "miracolo" teatrale viene raggiunto
con una tecnica semplice (in teoria, ma di complessa realizzazione): coinvolgere
gli spettatori facendoli sentire parte della rappresentazione.
Da Pirandello a Brecht, fino alle avanguardie teatrali questa via è stato
sperimentato, non sempre con successo. L'autore tedesco voleva che la
scenografia dell'Opera da quattro soldi continuasse in platea e che un
poliziotto passeggiasse tra il pubblico; ma ben prima di lui il grande
Pirandello aveva creato una trilogia metateatrale (Sei personaggi in cerca
d'autore, Ciascuno a suo modo e Questa sera si recita a soggetto) in cui alcuni
spettatori (o finti tali) venivano coinvolti in prima persona nel rapporto con
ciò che succedeva sulla scena.
Due esempi di alto livello che non è sempre facile eguagliare, perché la
ripetitività o la caduta nel banale è sempre alle porte (pensiamo a Visita ai
parenti oppure a Il contagio, presentati lo scorso anno a "Comico… e non
solo" e a "Città Spettacolo"): due chiari esempi di come una
collocazione inusuale per gli spettatori, trasformandoli in "co-attori",
non sempre riesca a salvare uno spettacolo di per sé deficitario.
Con Orient Express siamo di fronte ad un lavoro che ha, nella sua costruzione,
aspetti davvero geniali. Innanzitutto viene abolita la distinzione scena-platea
e, grazie alla struttura della "Galleria del Giallo", in cui lo
spettacolo è allestito, lo spettatore si trova a sentirsi un passeggero del
mitico treno. Al posto dei biglietti vengono date le contromarche relative ai
tavoli dello scompartimento ristorante; ci si siede (magari sorseggiando una
bibita) e si assiste all'andirivieni dei personaggi coinvolti nel famoso affaire
Armstrong (il trasvolatore oceanico dello Spirit of St. Louis). Alle pareti le
tele di Antonio Molino ripropongono paesaggi colti in fuga da un finestrino,
mentre la musica che scandisce il susseguirsi delle varie scene mima lo sbuffare
di una locomotiva a vapore.
Il viaggio prosegue, tra colpi di scena a ripetizione e anche chi ha già letto
il libro di Agatha Christie o visto il film di Sidney Lumet non rischia certo di
annoiarsi: pure se dovesse ricordare quasi a memoria le battute di Hercule
Poirot sarà comunque spiazzato dalle varie trovate che l'ottima regia di Peppe
Celentano e l'adattamento di Vincenzo de Falco hanno ideato per rendere sempre e
comunque avvincente il dipanarsi dell'azione. Non stupisce che mai nessun
regista si sia avventurato nella drammatizzazione del romanzo della Christie: si
direbbe che l'unica maniera di metterlo in scena (o in una non-scena) fosse
realizzabile negli spazi della Galleria del Giallo e del Mistero.
Venendo all'interpretazione, notevole è quella dello stesso Peppe Celentano
(nel ruolo dell'investigatore belga) attorniato da ottimi comprimari: Raffaele
Esposito nel ruolo dello psicanalista che cura un vecchio affaticato Poirot e
Bruno Minotti in quello del capotreno, Gabriella Cerino (primadonna della
compagnia stabile del Giallo e del Mistero), Rossella Serrato (proveniente dalla
compagnia di Luigi De Filippo), Luciano Nuzzolillo, Sasà Trapanese (già tra i
protagonisti dello sceneggiato Rai L'eredità della priora), Andrea De Rosa (che
tornerà ad interpretare il Principe di Sansevero nello spettacolo che andrà in
scena in piazza San Domenico il due giugno prossimo) e le giovani e promettenti
Diana Del Monaco, Giuliana Sepe e Alessandra Lagozino.
Ma Orient Express non è solo un capolavoro della suspense: si tratta anche di
un romanzo (e quindi di un dramma) portatore di una ben precisa morale, che va
oltre il classico "che la giustizia trionfi". A differenza di alcuni,
moderni ispettori, Poirot scopre il colpevole di un delitto, ma non lo consegna
alla polizia perché riconosce nel suo agire una giustizia superiore, che supera
i codici, di ispirazione naturale (per non dire divina): proprio da questa
"rimozione" nasce la particolarissima cornice entro cui si svolge
l'azione, con il detective belga che, a distanza di decenni, cerca di ricordare
come si svolsero i fatti sul treno che da Istanbul lo riportava in Europa
sdraiandosi appunto sul lettino di uno psicanalista, il dottor… Christie!
A proposito di quest'ultimo, nella sua figura viene irrisa deliziosamente la
scuola freudiana, che si ostina a pretendere di vedere nella realtà solo una
proiezione della fantasia - di certe fantasie - e interpreta ogni elemento alla
luce delle tabe sessuali: il treno è, ovviamente, un simbolo fallico; la
galleria il suo corrispondente femminile e via discorrendo. Lo sforzo mnemonico
di Poirot rappresenta quindi anche il ritorno alla realtà, molto più piana
delle ricostruzioni psicanalitiche e non a caso l'interpretazione cui giunge il
dottor Christie si rivelerà completamente - ma proprio completamente -
sbagliata.
Come avverrà in Sipario, l'ultimo, tristissimo romanzo di Poirot, in cui il
protagonista appare ancora lucido, ma ormai vecchio e malato, ci si trova di
fronte alla impossibilità di far trionfare la giustizia ordinaria (e, sia pure
di sfuggita, in questo Orient Express c'è un accenno, una premonizione ai casi
di Sipario). Una scelta coraggiosa, dunque, quella de "Il Pozzo e il
Pendolo": sia dal punto di vista drammaturgico che da quello ideologico. Ma
una scelta premiata con gli applausi convinti del pubblico e la necessità di
prenotare la poltrona, pardon, il tavolo al vagone ristorante.
Gianandrea De Antonellis