In scena
Dal 7 al 17 Marzo 2002
(Teatro Spazio Libero, Napoli)Dicembre 2002
(Salerno - Avellino)
JEKYLL è HYDE - Storia di un adattamento Il racconto di Stevenson, pubblicato nel 1886, è stato trasposto innumerevoli volte in versioni teatrali, cinematografiche, televisive. Il primo adattamento teatrale risale al 1887, e già allora Thomas Russel Sullivan sentì l'esigenza di introdurre nella storia un personaggio femminile. Questa "tradizione", con vari aggiustamenti e differenti trovate, è diventata una costante in tutti gli adattamenti successivi, dal primo film muto del 1908 fino all'ultima delle oltre settanta versioni successive. La maggiore difficoltà nell'affrontare oggi la rilettura di un tema noto si colloca nella ricerca di una originalità che non voglia e non debba essere a tutti i costi né stravagante né stravolgente. Tuttavia la notorietà del tema Jekyll/Hyde è di tale vastità da potersi definire quasi universale. Né può supporsi che il tema del doppio, che pure sconvolse lettori e scienziati alla prima uscita del racconto, possa rappresentare per alcuno, oggi, una sorpresa. È anzi verosimile affermare che "Lo strano caso" rappresenti l'episodio letterario più diffusamente conosciuto tra un pubblico non solo di lettori, ma di fruitori generici di qualunque tipo di medium, da quello cinematografico sino a quello fumettistico. Ecco pertanto ribadita l'esigenza di una rilettura che, pur senza stravolgere l'opus iniziale, non debba e non possa più tentare di far leva sulla sorpresa, ovvero sul mistero che si cela dietro lo strano caso che vede un rispettabile e mite dottore cedere il passo all'altro da sé che con lui coincide. Il gioco teatrale viene allora spostato sul concetto esteso di altro, ed in un duplice aspetto: in primo luogo, calcando le orme dei precedenti adattatori e prendendo le mosse dal piccolo capolavoro di Valerie Martin (La Governante del Dr. Jekyll), si inserisce nella narrazione, con un ruolo di primo piano, una figura femminile (Mary, la cameriera), che osservi con occhi puri ed esterni la vicenda nota al pubblico, ma non ai protagonisti della piéce. Ed è proprio nella cameriera che l'altro comincia a farsi spazio: è lei stessa vittima di un padre perbene, che tuttavia diventava altro quando era vittima del bere. È lei stessa una puritana e casta donna inglese che ha saputo ben rimuovere le sevizie e le violenze subite da bambina, ma nella quale abita un altro pronto ad emergere, non appena si instauri quel legame chimico, più che fisico, di affinità con un altro altro. E la lotta tra il bene e il male, trasfigurata nella figura femminile, diviene poco più che schermaglia, bagatella, scaramuccia, nella quale il sé offre una ben lieve resistenza all' altro da sé che cerca di emergere. In secondo luogo, ovviamente, c'è il dottor Jekyll. Scacciata via sin da subito la tentazione dell'effetto speciale e del trasformismo a tutti i costi, la lettura della mutazione è stata traslata anch'essa sugli altri. Jekyll e Hyde, pertanto, sono fisicamente pressoché identici, salvo una simbolica mutazione, un'incrinatura della voce, una lieve modifica della postura, un differente modo di porgere. Eppure vengono visti, dagli altri, quali entità completamente distinte. Ciò porta ad uno spiazzamento dello spettatore, che deve di volta in volta interrogarsi, chiedersi se l'uomo che osserva recitare, in un determinato momento, sia Jekyll o non piuttosto Hyde. Soprattutto perché in un gioco che più volte si ribalta, Hyde emerge in Jekyll, e Jekyll emerge in Hyde. Rinnegando solo apparentemente il presupposto stevensoniano del muro che separa, dentro ciascuno, il Bene dal Male, questa rilettura fa sì che l'osmosi tra le due entità diventi impalpabile, eppur netta davanti agli altri altri. D'altra parte, l'esperimento del Dottor Jekyll aveva avuto come obiettivo primario la dissoluzione di quel diaframma tra i due gemelli in perenne tenzone, mettendo a nudo la tremula fralezza, la vaporosa inconsistenza di questo involucro all'apparenza così compatto quando lo meniamo d'attorno. Eppure la pienezza dell'esperimento stesso, il suo risultato ultimo e finale, non era forse stata la commistione totale, l'impossibilità di scindere il Bene dal Male, l'inutilità del catalizzatore, nella fase finale, per far emergere ora l'una ora l'altra natura? Su questa strada ci si è mossi pertanto sin dall'inizio, supponendo che, vanificato in primis il tremulo drappeggio di carne, il giovane e forte Hyde si sia impossessato sin da subito del vecchio e mite Jekyll. Forse, l'unico vero catalizzatore è proprio Mary, la cameriera. E sarà lei, con la sua duplice natura e la sua disarmante - ma solo apparente - linearità, ad agire da antidoto supremo. |
RECENSIONI
Da "Cronache di Napoli"
Giuseppe Giorgio